Fotoscopia
Testo di GianFranco Ragno
(2016)

Negli anni Venti, in una frequente pubblicità che compariva su tutti i giornali europei ancora poveri di inserzioni così elaborate – e si trattava forse della prima réclame globalizzata – si potevano osservare una serie di disegni raffiguranti una lieve e agile donna con un vestito bianco e nero a strisce mentre scivolava accanto a bambini e famiglie felici – e, con altrettanta eleganza, teneva in mano un apparecchio fotografico: era una Kodak, – o meglio, allora un Kodak perché si usava il maschile – e lei era “Kodak-girl”.
Il testo però intimava: “Se non prendete delle istantanee delle vacanze cosa rimarrà fra cinque anni? I momenti felici passano!” – decretando e delegando alla donna la costruzione della memoria famigliare.
Ho pensato a questa immagini quando ho visto per la prima volta i lavori di Alessandra Calò – le cui fonti sono spesso immagini di un archivio privato, modesti prodotti iconografici, resi nobili dall’intervento grafico e compositivo dell’artista emiliana d’adozione; quella memoria visiva di minore pregio, ormai fuori dai commerci e fuori quasi da una narrazione diretta, facilmente perduta: più fragile diremmo della sua stessa consistenza fisica – materiali prodotti magari – chissà – sotto l’ispirazione della “Kodak girl” citata.
L’operazione dell’artista non è però una semplice riproposizione dei fatti: Alessandra compie infatti un lento lavoro di sublimazione, di proiezione, sovrapposizione in forme nuove e mutevoli (immagini, video e istallazioni)

In Galleria a Chiasso troviamo, oltre le immagini a muro, anche delle stampe retroilluminate tratte dal nuovo e articolato progetto Fotoscopia: le immagini – più eterogenee rispetto al passato, comprendendo anche le fotografie mediche – provengono appunto dall’archivio dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia – dove l’artista ha condotto un profonda indagine conoscitiva. Qui – nel progetto – le sovrapposizioni offrono delle proposte visive inedite grazie ai segni e frammenti dell’iconografia medica, e lo stesso originale libro d’artista, prodotto in pochi esemplari, prende la forma e l’ispirazione di un faldone, contenente materiale eterogeneo.
Altri noti artisti contemporanei si sono affacciati al tema della memoria e dell’indagine intorno agli archivi (penso a Sophie Calle, e soprattutto a Christian Boltanski), ma a differenza di quest’ultimi, Calò appare meno cupa, rifiutando la scabra estetica di impronta concettuale: preferisce ridare alla fonte visiva nobiltà anche attraverso un rinnovato statuto estetico e artistico non secondario. Come se fosse l’archivista di storie di una biblioteca barocca, una sorta di ipotetica biblioteca dell’Abbazia di San Gallo, e, al tempo stesso, la sua gelosa custode.

Fotoscopia
testo di Irene Russo

parzialmente tratto dal catalogo: Fotografia Europea. Effetto Terra, Silvana Editoriale, Milano
2015

“Fotoscopia” evoca la capacità dell’uomo di indagare lo spazio insondabile, celebrando il mistero della vita e il commovente desiderio di proteggerla. Alessandra Calò si è calata nelle “viscere” di un ospedale italiano a caccia di reperti dal valore estetico, scelti fra migliaia di misteriose rivelazioni di salute e malattia. Nelle lastre di vetro che compongono l’opera trovano posto le topografie d’archivio, gli schizzi esegetici dei dottori, gli screening mammografici e perfino i pesci rossi della sala d’attesa del reparto di radioterapia.
Catturate in prevalenza con l’ausilio dell’iphoneography ma stampate su vetro con metodi antichi, le immagini di Alessandra Calò non accettano di rappresentare la realtà nei limiti della distanza digitale. Piuttosto tornano indietro nel tempo fino a recuperare il conforto del tatto, l’affabilità di una tecnica sapiente come quella del medico che comprende al tocco.
L’ospedale è un corpo fatto di tantissime vite, storie di uomini in prima linea o rimasti sempre dietro le quinte. In “Fotoscopia” il luogo di cura si manifesta in tutti gli aspetti, da creazione architettonica a struttura organizzata, da centro di ricerca a scenario di cambiamenti epocali. La ricerca dei materiali – condotta tra i reparti in decine di colloqui con medici, infermieri, tecnici e inservienti – ha seguito un approccio “domestico”, utile a rappresentare uno spazio dove la vita della comunità continua nei suoi ritmi quotidiani. La natura dell’ospedale si rivela non soltanto negli elaborati programmi per ridurre il margine di errore nelle alte sfere della chirurgia, ma anche nei rigidi protocolli messi in atto per rendere infallibili attività ordinarie, come ad esempio la gestione degli impianti e il servizio di pulizia dei reparti.
A corredo dell’opera, un ulteriore livello di lettura è rappresentato dal libro d’artista “Fotoscopia”. Attraversando la struttura in lungo in largo insieme alla scrittrice Irene Russo, l’artista ha raccolto suggestioni molto varie: dall’aneddoto alla spiegazione scientifica, dall’esperienza professionale a frammenti personali. Nell’intricato labirinto dell’ospedale sono emersi episodi indimenticabili, immagini dove la scienza medica mostra la sua più grande bellezza. Racconti che hanno un ignificato universale, oltre la storia dell’istituzione e dentro la vicenda degli individui.

Prezzi su richiesta
opere stampate su carta
Hahnemühle Photo Rag Bright white 308g
cm 60×50


Fotoscopia –
2015
stampa fine art cm 40×40  ed 1/5
© Alessandra Calò (I – 1977)

Fotoscopia – 2015
stampa fine art cm 40×40  ed 1/5
© Alessandra Calò (I – 1977)

Fotoscopia – 2015
stampa fine art cm 40×40  ed 1/5
© Alessandra Calò (I – 1977)

Fotoscopia – Installazione 2016
7 pedistallo in legno nero con retroilluminazione
Trittico di lastre in cristallo stampate a mano
con tecniche miste (sali d’argento, callitipia, ink-jet)
© Alessandra Calò (I – 1977)

Fotoscopia – Installazione 2016
7 pedistallo in legno nero con retroilluminazione
Trittico di lastre in cristallo stampate a mano
con tecniche miste (sali d’argento, callitipia, ink-jet)
© Alessandra Calò (I – 1977)