Stampe d’epoca
da una collezione privata
04 12 2011 > 04 02 2012
Nato con un piede nell’Ottocento, ma con l’altro proiettato, con pieno slancio, verso il secolo seguente, Eugene Goldbeck é stato un autore in parte misconosciuto, a lungo confinato nell’aneddotica ed alla curiosità della fotografia panoramica. Eppure egli prese con sé la parte più viva di un desiderio tipico del diciannovesimo secolo della scoperta (di cui é figlia anche la fotografia), incarnandone mirabilmente le attese e la fiducia in un progresso mai messo in discussione. Ben presto, nei primi anni del Novecento, al giovane Goldbeck parve chiaro l’interesse per la fotografia: si specializzò nel produrre personali ritratti di gruppo, aziendali o informali, sempre più ampi, sempre più onnicomprensivi di persone e luoghi; non senza una certa leggerezza ed umorismo. Consensualmente ad essi, produsse, per tutta la sua lunga carriera, panoramiche dei luoghi più affascinanti al mondo (dalla piazza Rossa a Mosca alle cascate del Niagara, ed ancora, il Cairo nel 1971 ed il Machu Picchu, un anno più tardi). Tutto ciò ritratto grazie ad un apparecchio fotografico panoramico, Cirkut, capace di cogliere a 180 gradi una porzione della realtà divenuta improvvisamente una larga tela, un campo da gioco da dominare, un precipizio od una vertigine tutta orizzontale. Qui la fotografia non supera l’occhio umano solo nel dettaglio ma anche nell’angolo di visione, dilatandone lo spettro, scavalcandone i limiti. Spesso, per giungere ai suoi spettacolari risultati, Goldbeck costruì punti di vista sempre più rialzati, scale e torri, che gli permettessero di arrivare ad una prospettiva a volo d’uccello. Come quando nel 1947 ritrae più di ventimila persone a formare l’insegna del corpo militare – fotografia riprodotta dal più grande magazine dell’epoca, Life. Applicò un personale taylorismo non tanto alla produzione (difficile e spesso impervia) quanto alla vendita fotografica – con l’obiettivo fiducioso di vendere una stampa ad ogni persona ritratta. E di queste persone colpiscono infatti gli atteggiamenti, colti nella piacevole consapevolezza di essere parte di un tutto. Si tratta di volti anonimi ma non certo alienati, composti e gioviali. Ancora inseriti in un ipotetico orizzonte comune e di senso, non atomizzati in mille frammenti di individualismo. Ordinate lungo la vasta linea orizzontale della terra, verso un confine da raggiungere in una prospettiva insindacabile di crescita e riuscita, le immagini di Goldbeck raccontano un’epoca, una cultura ed un’ideologia senza il dovere di raccontare altro di sé, se non il proprio spettacolo grafico. Segnalato da Massimo Vitali, che ne mutua alcune caratteristiche di ripresa, in tempi più recenti anche Andreas Gursky sembra quasi rendere omaggio al fotografo texano: come Goldbeck, il fotografo tedesco riprende le rigorose composizioni scenografiche umane del regime totalitario della Corea del Nord. Quasi a sottolineare, ancora una volta, la potenza dell’occhio meccanico dall’Ottocento fino ad oggi. Gian Franco Ragno |