Il bosco è al centro delle mitologie, e quindi delle favole, che accompagnano, forse da sempre, la cultura europea. Forse dell’intero pianeta. La cultura romantica ha circondato il bosco di un alone malinconico che include anche la contemplazione e la memoria della morte. Da allora sembrano sposarsi bene boschi e tombe. Forse perché il luogo di più intensa vita vegetale, come è il bosco, ancora di più sottolinea la nostra effimera centralità.
C’è anche questo nelle fotografie di Sandro Glaettli. Ma c’è soprattutto lo sguardo d’infanzia di un ragazzo svizzero per il quale il bosco è ambiente che coincide con la vita stessa, esperienza di bellezza, silenzio.
Ferdinando Scianna
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Mettere anche un solo piede in un bosco significa mettere sottosopra un equilibrio che di umano non ha proprio nulla. È infatti necessario un assoluto silenzio per ascoltare i rumori del bosco. Formiche che corrono indaffarate, bisce che strisciano silenziose sotto lo strame, fruscii del vento tra le foglie e i rami degli alberi, cinguettii di uccelli . Rumori tanto più evidenti di notte poiché tale è il frastuono della vita quotidiana della città durante il giorno, da renderli inesistenti e insignificanti alle persone meno sensibili.
Ho sempre abitato accanto ai boschi sin da piccolo. Il bosco è stato per me fonte di educazione, di paure e di giochi: da qui forse il mio rispetto. Bruciavano, soprattutto d¹estate, vuoi per idiozia umana che per autocombustione. La paura, tanto da dover scappare da casa con i miei genitori lasciando tutto dov¹era per trasferirci dai nonni al lago, ma anche il fascino degli incendi che vedevo da vicino quando tornavo da scuola. Noi ragazzini correvamo avvertiti dalle sirene dei pompieri, affascinati dallo spettacolo dei grandi abeti e dalle betulle altissime che bruciavano come fiammiferi, oppure, di notte, sull¹altra sponda del Lago Maggiore, assistevo a magnifici spettacoli pirotecnici dei boschi che, rossi, verdi e gialli di fiamme tremolanti, creavano forme astratte sempre in movimento. Il giorno dopo solo il fumo lasciava traccia del danno enorme ormai avvenuto.
Era anche, il bosco, il nostro parco giochi naturale. Si giocava agli indiani costruendo archi e capanne sugli alberi. Prima ancora di farsi degli amici, quelli in carne ed ossa, è stato il bosco il mio primo grande amico. Parlavo alle piante, davo loro un nome. Ricordo ³ul zio² un castagno che, forse colpito da un fulmine, non era più riuscito a crescere normalmente ed aveva lasciato così al suo interno un buco, abbastanza grande per farci la nostra sala di incontri segreti. Esiste ancora oggi, malconcio, con qualche esile rametto nuovo che stenta però a diventar adulto. Nostro divertimeto era anche quello di andare a caccia di scheletri di animali, soprattutto gatti che se n’erano andati nel bosco a morire in santa pace. Tutto ciò ci faceva sentire importanti esploratori di foreste sconosciute e impenetrabili dove in ogni angolo, in ogni cespuglio si poteva celare un tesoro che pareva messo lì apposta per noi.
Sandro Glaettli ha la giusta sensibilità verso le foreste che fotografa con rispetto e dolcezza. Si è reso conto che il bosco è costituito da esseri viventi: le piante. Esse crescono, parlano e cantano, si sviluppano in tutte le direzioni e diventano simili all¹uomo, tanto da poterle paragonare nel loro insieme a delle città. Ma c¹è una differenza sostanziale tra la città degli uomini e la città degli alberi: quest¹ultima è più disponibile ad accogliere gli intrusi. Cimiteri, depositi di ferraglia, discariche abusive, carcasse di animali ed ogni cosa abbadonata dall¹uomo con totale incoscienza, viene avvolta e ricoperta dal bosco. Come se il bosco volesse nascondere agli occhi di chi lo percorre a piedi, le brutture del mondo. Tra le spire dei rami degli alberi, vengono inghiottiti gli oggetti che l¹uomo ha forse amato, ma che non vuole più vedere, vuole dimenticare. Il bosco nasconde la memoria dell¹uomo e, quando è possibile, la ricicla.
Infine il bosco è fonte di vita. Dal bosco provengono una quantità enorme di prodotti utili. Il legno, ovviamente, che ci accomagnava fino a qualche secolo fa dalla culla,al letto, alla bara (come ben ricordava Filippo Rampazzi, direttore del Museo di Storia naturale di Lugano in un catalogo di una mostra di alcuni anni fa alla Galleria Gottardo). Il bosco dava nutrimento: bacche, castagne e altri alimenti oggi ormai coltivati quasi solo in serra; produceva erbe usate nella preparazione di pietanze e medicinali.
Nonostante l’urbanizzazione forzata a scapito della macchia generatrice, il bosco è ancora oggi luogo importante per la vita dell¹uomo. Percorrendolo di giorno e di notte, in punta di piedi cercando di non disturbare, Sandro ci offre le immagini della sua quieta trasformazione, anche laddove l¹uomo è intervenuto: accatastando legna tagliata, piantando steli per i suoi morti, pulendo lo strame dai sentieri. Egli gira per il bosco solo quando se la sente e lo fotografa solo quando l¹immagine che ha ben fissa nella sua mente, gli si propone davanti.
Si augura che un giorno tutto venga riordinato e, come rappresenta l¹ultima fotografia di questo libro, tutto venga rimesso in moto reinstaurando il concetto di equilibrio che la natura ottempera per sua stessa concezione ma che l¹uomo, nella sua presuntuosa arroganza vorrebbe scardinare.
Luca Patocchi, Breganzona, giugno 2005
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