FOTO_GRAFICA

Il piccolo gruppo di immagini che Cons Arc ha deciso di riproporre in modern print – e le altre che in mostra le circondano – possono offrirci un’immediata sintesi del talento visivo di Max Huber. Ma forse riescono anche a parlarci del suo carattere, del suo ambiente, del suo tempo. Quando Max approda a Milano nel 1940 ha già sperimentato le più complesse tecnologie fotografiche con maestri svizzeri che oggi riconosciamo come storici autori: Emil Schulthess, Hans Finsler e Werner Bischof. Sarà tuttavia Antonio Boggeri (1900-1989) ad accoglierlo nel suo studio milanese – tra i presagi della seconda guerra mondiale – intuendo la sua doppia capacità creativa: gli esperimenti attraverso le immagini ottiche a fianco della genialità tipografica e compositiva nella produzione di messaggi pubblicitari. Boggeri, oltre ad essere un pioniere dell’art direction, è pure un raffinato fotografo, e sono già noti – lungo tutti gli Anni 30 – anche i suoi contributi critici, tesi ad affermare un modernismo in polemica con l’accademico linguaggio prevalente negli autori italiani. Max Huber non usa però subito con frequenza la sua fotocamera 6×6. Resterà un curioso neofita capace di seguire con parallela fantasia le avanguardie europee lungo la sua professione di grafico e di artista «astratto». Mentre in comune coi colleghi amici che troverà subito in Italia (come Luigi Veronesi, Franco Grignani o Albe Steiner) sarà l’uso del fotogramma: le immagini off camera offerte da oggetti posati sulla carta sensibile ed esposti pochi attimi alla luce. A sessant’anni di distanza, vi riconosciamo le forme di semplici strumenti tecnici, di vetri, frutti, piume: una specie di libero addestramento alle visioni (ed alle allusioni) che si affiancheranno alla dirompente aggressività tipografica e cromatica dei suoi manifesti, delle sue copertine, dei suoi annunci. Ma negli anni italiani del dopoguerra, al suo ritorno a Milano, troveremo più frequenti anche le riprese con la camera reflex, la classica Rollei. Qui si giocherà anche la sua scoperta del paesaggio italiano, l’atmosfera della metropoli tra la Fiera Campionaria e il richiamo dei giornali appesi davanti all’edicola, o infine le insegne luminose dei locali, che risplendono attraverso l’esposizione multipla del negativo (il logo del Rabarbaro Zucca allude forse ai drink condivisi con gli amici Achille e Piergiacomo Castiglioni, complici in mille notissimi allestimenti per Rai o Montecatini?
…chissà).
Isolata e memorabile resta la fotografia più nota di Max, che oggi ci appare quasi un ironico contrappunto alla polverizzazione di immagini digitali che stiamo vivendo. Fotografia Moderna era un felliniano atelier itinerante nei luna-park italiani, destinato alle fototessere, ai ritratti singoli o in gruppo. Ci si ripropone qui, al contrario dell’insegna, un paese adorabilmente arretrato. Ripartiremo però da questa ironica inquadratura, specchio dei nostri ingenui stupori tecnici, per inoltrarci con Max Huber verso altri mondi, verso visioni di linguaggio opposto. Max ha sposato nel 1962 Aoi Kono, figlia del famoso maestro tra i grafici giapponesi Takashi Kono. E durante le sue frequenti trasferte a Tokyo a metà degli anni 60 egli avvicina un oceano di segni, disegni, segnali grafici pieni di ideogrammi indecifrabili. Anche se in apparenza l’umiltà documentale lo nega, Max ritrova qui i ritmi astratti che di continuo lo appassionano nella grafica editoriale. Una vera originale, intensa musica visiva (quasi l’ascolto dei prediletti brani di jazz…) che costituirà, lungo tutto il suo percorso professionale, il tratto artistico più riconoscibile.
Tuttavia Max Huber non produce mai personalmente le fotografie che affiancano e sostengono mirabilmente i suoi piani cromatici, la danza dei suoi caratteri ingranditi, le asimmetrie diagonali, le sovrastampe più coraggiose, le sintesi comunicative più immediate (ma contemporaneamente più complesse). Alla Rinascente Max, affiancandosi nei messaggi ad un art director svizzera autorevole come Lora Lamm, crea il suo marchio famoso. Ma guida inoltre, nella sala di posa, le attente riprese di un altro amico svizzero giunto in Italia, Serge Libis. E sui fondali immacolati di Aldo e Marirosa Ballo li aiuta a inquadrare le creazioni del design italiano… tra gli anni 60 e 70 nel loro più entusiasmante sviluppo.
Le immagini fotografiche che Cons Arc oggi raccoglie, non sono probabilmente che una parte di quelle scattate da Max Huber. Molte sono andate perdute. Qui ci restano gli affascinanti enigmi di una personale passione e in un certo senso di una cultura onnivora. Vi ritroviamo una eclettica luce ancor viva, l’eco puntuale della fantasia e anche della leggerezza di Max. Sono tasselli lontani che ancora ci parlano del suo stile. Che ci aiutano oggi a comprendere meglio la sua geniale personalità.

Cesare Colombo, novembre 2015