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FOTOSCOPIA

di Alessandra Calò
16 10 2016 – 26 11 2016

  • testo di G.F. Ragno
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Fotoscopia
personale di Alessandra Calò alla Galleria Cons Arc di Chiasso
Testo di GianFranco Ragno

Negli anni Venti, in una frequente pubblicità che compariva su tutti i giornali europei ancora poveri di inserzioni così elaborate – e si trattava forse della prima réclame globalizzata – si potevano osservare una serie di disegni raffiguranti una lieve e agile donna con un vestito bianco e nero a strisce mentre scivolava accanto a bambini e famiglie felici – e, con altrettanta eleganza, teneva in mano un apparecchio fotografico: era una Kodak, – o meglio, allora un Kodak perché si usava il maschile – e lei era “Kodak-girl”.
Il testo però intimava: “Se non prendete delle istantanee delle vacanze cosa rimarrà fra cinque anni? I momenti felici passano!” – decretando e delegando alla donna la costruzione della memoria famigliare.
Ho pensato a questa immagini quando ho visto per la prima volta i lavori di Alessandra Calò – le cui fonti sono spesso immagini di un archivio privato, modesti prodotti iconografici, resi nobili dall’intervento grafico e compositivo dell’artista emiliana d’adozione; quella memoria visiva di minore pregio, ormai fuori dai commerci e fuori quasi da una narrazione diretta, facilmente perduta: più fragile diremmo della sua stessa consistenza fisica – materiali prodotti magari – chissà – sotto l’ispirazione della “Kodak girl” citata.
L’operazione dell’artista non è però una semplice riproposizione dei fatti: Alessandra compie infatti un lento lavoro di sublimazione, di proiezione, sovrapposizione in forme nuove e mutevoli (immagini, video e istallazioni)

In Galleria a Chiasso troviamo, oltre le immagini a muro, anche delle stampe retroilluminate tratte dal nuovo e articolato progetto Fotoscopia: le immagini – più eterogenee rispetto al passato, comprendendo anche le fotografie mediche – provengono appunto dall’archivio dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia – dove l’artista ha condotto un profonda indagine conoscitiva. Qui – nel progetto – le sovrapposizioni offrono delle proposte visive inedite grazie ai segni e frammenti dell’iconografia medica, e lo stesso originale libro d’artista, prodotto in pochi esemplari, prende la forma e l’ispirazione di un faldone, contenente materiale eterogeneo.
Altri noti artisti contemporanei si sono affacciati al tema della memoria e dell’indagine intorno agli archivi (penso a Sophie Calle, e soprattutto a Christian Boltanski), ma a differenza di quest’ultimi, Calò appare meno cupa, rifiutando la scabra estetica di impronta concettuale: preferisce ridare alla fonte visiva nobiltà anche attraverso un rinnovato statuto estetico e artistico non secondario. Come se fosse l’archivista di storie di una biblioteca barocca, una sorta di ipotetica biblioteca dell’Abbazia di San Gallo, e, al tempo stesso, la sua gelosa custode.